Parabola: anche in questa quarta settimana di Quaresima siamo insieme con “la Parola”, è quella di Luca: “Ed egli disse loro questa parabola“

Nel mistero del Verbo fatto carne, Dio è sceso, si è abbassato e si è perciò fatto vicino all’uomo, in tutto, compreso nel linguaggio: qual altro modo per far comprendere all’uomo cose e logiche del Cielo (sentite lontane e inconcepibili), se non quello di usare le parole dell’uomo stesso, rievocando esempi semplici e soprattutto quotidiani?
Eppure gli insegnamenti del Maestro non sono mai così immediati. Gesù sovverte ancora una volta la logica del mondo: il suo parlare in parabole ha un obiettivo che non è la comprensione, ma la conversione.
L’approccio non è quello razionalistico tanto caro all’uomo (capisco e dunque mi converto), quanto quello inverso, proprio della fede (accolgo e dunque capisco). Le parabole istruiscono. Le parabole mostrano un “altrove” che la ragione, da sola, non può raggiungere, perché è stata creata “per il mondo”.
Un animale di terra sa muoversi nel suo habitat, ma non può volare finché non viene istruito e non gli vengono forniti gli strumenti di volo. Così la ragione umana non riesce ad arrivare alle logiche del Cielo finché non viene “istruita” da qualcos’altro. Sant’Agostino l’aveva già capito più di 1.600 anni fa per questo diceva: «[…] chi non ci istruisce, anche se parla, è come se non parlasse.
Ora, chi è colui che può istruirci se non la Verità immutabile?» (Le mie confessioni, libro XI paragrafo 8). Lontano dal credere “alla cieca”, si tratta dell’imparare ad ascoltare nel modo giusto: «[…] ma se dovesse parlare in ebraico non capirei nulla, e la sua voce batterebbe invano al mio orecchio e non giungerebbe alla mia mente. Se invece parlasse in latino capirei certo quello che dice.
Ma come faccio a sapere se Mosè ha detto il vero? […] è la verità che abita in me, che è nel mio pensiero, che non parla in ebraico o in greco o in latino, e nemmeno in altre lingue barbare, e mi dà conferma: “Sta’ tranquillo, Mosè dice il vero.”» (Sant’Agostino, Le mie confessioni, libro XI paragrafo 3).
Le parabole istruiscono ad un nuovo modo di vedere le cose, quello degli occhi di Cristo. Non come le pubblicità che fanno leva sulle debolezze dell’individuo per indurlo ad acquisire qualcosa che non cerca, al contrario, le parabole ribadiscono che Dio è garante della vera libertà dell’uomo: per ogni azione (ha concesso di grazia la sua Parola), attende una risposta dell’uomo (l’ascolto sincero), un gesto spontaneo necessario per esprimere quella volontà che si palesa sotto il nome di libero arbitrio.
E a quel punto, quando si è coinvolti, non si può essere neutrali (la neutralità è situazione di stallo). Gesù usa la parabola come una provocazione che, accettata, costringe all’autoesame (spesso, meglio, all’autoaccusa) e porta inevitabilmente a prendere una posizione.
Ogni volta la sensazione che si stia parlando proprio della nostra vita passata e presente accompagna la lettura di una parabola, ed in effetti non è solo una sensazione: la Parola è viva, per questo si può rileggere tante volte e non avere letto mai la stessa.
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Questo è un articolo pubblicato il 31-03-2019 alle 08:41 sul giornale del 30 marzo 2019 - 89 letture
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