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Successo al Liceo Campana per il terzo incontro: 'Gli studenti incontrano i filosofi'

4' di lettura 02/04/2015 - Si è concluso con successo, per il secondo anno, il progetto promosso dal Dipartimento di Storia e Filosofia del Liceo Campana di Osimo: “Gli studenti incontrano i filosofi”. Relatrice di questo terzo incontro, svoltosi martedi 31 marzo alle 14,30 presso l’Aula Magna del Liceo Campana, la Prof.ssa Bianca Maria Ventura, Coordinatrice nazionale della Commissione didattica.

Membro del Consiglio Direttivo della Società Filosofica Italiana, oltrechè Presidente della sezione dorica dell’associazione e docente presso l'Università Politecnica delle Marche, che ha scelto il tema della partecipazione sociale, rivisitato attraverso il pensiero di due grandi filosofe del ‘900, Hannah Arendt e Simone Weil. Una problematica che oggi ci interpella direttamente, considerando il disincanto nei confronti della realtà politica e l’impegno a cui invece le due autrici citate richiamano l’agire umano. Significativo prima di tutto il titolo della conferenza.

Sguardi femminili: in un periodo di pari opportunità sembra strano parlare di sguardo al femminile, come se preludesse una diversità rispetto al pensiero maschile. Qual è la caratteristica dello sguardo femminile? Prima di tutto la difficoltà per una filosofa ad entrare nell'ottica di una filosofia prevalentemente al maschile, fondata solo sul logos.

Un logos tanto potente da piegare la realtà al suo volere (“Sapere è potere” diceva Bacone). Ecco, il pensiero femminile ha portato all'inserimento di un terzo occhio, mettendo insieme al logos il sentimento, l’empatia; un terzo sguardo che arriva anche là dove la ragione non riesce ad arrivare. La seconda parte del titolo poi pone l’accento sul significato di “partecipazione sociale”, rispetto alla quale ci si è posti tre interrogativi:

1. Cosa intendiamo con partecipazione sociale?

Essere partecipi significa essere parte. Condizione di fatto, rispetto alla quale non siamo liberi, siamo passivi; siamo immersi nella vita senza volerlo. Eppure partecipare è anche prendere parte, considerando in questo senso un momento attivo: la responsabilità rispetto alla propria scelta di partecipare.

Parlando di partecipazione sociale dunque, dobbiamo considerare sia l’aspetto passivo –l'uomo come animale politico, costretto a vivere insieme agli altri, inevitabilmente – sia l’aspetto attivo – l’uomo che sceglie di prendere parte alla comunità, che si impegna responsabilmente nella società. Questa scelta è lo sforzo di migliorarsi, di vivere secondo l'”oggettivamente buono” e non solo secondo ciò che è utile per me.

2. Quali sono le condizioni di una partecipazione sociale?

Partecipare in senso attivo alla vita sociale, non solo passivamente. E’ l’esempio emblematico del caso Eichmann, dirigente delle SS tra i responsabili dello sterminio nazista degli ebrei, che la Arendt lucidamente analizza nella “Banalità del male”, facendone emergere la banale mediocrità, che si sostanzia nell’ incapacità di opporsi agli ordini nazisti. Eichmann non si assume la responsabilità di quello che fa. Ha un capo a cui appartenere e a cui obbedire e questo lo rassicura.

E’ un partecipare passivo il suo, che non attiva il pensiero. Ecco la “banalità del male”. Non è un mostro, è un uomo qualunque e allora la questione si fa più pericolosa. Uomini come lui ce ne sono tanti e il loro accontentarsi di obbedire, senza pensare, rende le loro azioni drammaticamente scellerate.

Questa rinuncia a pensare, sempre latente dentro ognuno di noi, è invece la più grande mancanza, quella di non scegliere una vita attiva, una vita responsabile nei confronti della società. La condizione dunque per la partecipazione responsabile è quella di essere uomini pensanti. E il pensiero è sempre un pensiero etico e politico.

3. L'appartenenza ad un partito favorisce la partecipazione sociale? “Il partito politico - dice Simon Weil - è uno strumento per servire una certa idea di bene pubblico”. Anche la democrazia non è un bene in sé, ma si definisce uno strumento, un mezzo in vista di un fine. Entrando in un partito l’uomo rischia di sottomettere il suo pensiero alle idee del suo partito e così facendo accetta di rinunciare a pensare con la sua testa. L’errore quindi non è nel partecipare ad un partito politico, ma nel vivere questa dimensione come fine invece che come mezzo, strumento al servizio del bene comune.

Ancora una volta quindi il punto non è non mettersi in gioco, non partecipare alla vita politica ma farlo attivamente, responsabilmente, non lasciando che sia il potere, un’ideologia imposta che decida per noi. Un richiamo quindi al forte impegno sociale, ad un impegno responsabile, che valorizzi l’uomo, lo renda migliore, proprio grazie all’uso del pensiero che – insieme al senso etico-politico – è il dono prezioso ed esclusivo a lui solo riservato.






Questo è un comunicato stampa pubblicato il 02-04-2015 alle 18:05 sul giornale del 03 aprile 2015 - 568 letture

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