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Osimo in Comune sulla vertenza Best: 'Senza lavoro il capitale non ha valore'

best osimo 4' di lettura 13/11/2011 -

Ma quali politiche sociali, come pure di sviluppo, propongono i nostri governanti nazionali e locali, affinché si affronti in maniera decisa questa crisi che sta portando alla miseria milioni di italiani? La verità è che non sanno letteralmente dove sbattere la testa! E questo per vari motivi.



Un primo motivo sta nell’ignoranza da parte dei più di considerare questa crisi economica come un’ennesima fase congiunturale negativa che il capitalismo deve regolarmente affrontare, ovvero che il problema stia in una contrazione della domanda aggregata, tale che i consumi non si riproducano come nel passato pre-crisi, con la conseguente riduzione della produzione e, quindi, dell’occupazione.

A questa situazione di apparente contrazione della domanda interna, i tanti, troppi economisti rispondono con delle ricette assurde: chi vorrebbe svendere il patrimonio pubblico per far cassa e poi investire il ricavato nella macchina produttiva (tipica politica neo-keynesiana), chi invece vorrebbe abbattere i diritti dei lavoratori, azzerando la forza di legge del contratto collettivo nazionale, in maniera tale che il costo del lavoro diventi un capitolo di spesa di produzione che incide sempre meno nel prodotto finale, con il naturale passaggio dallo status di lavoratore allo status di schiavo (politica neo-liberista).

Infine, c’è chi vorrebbe mettere in pratica tutte e due le politiche, che nella sostanza significa privatizzare tutto, sia i beni, sia i corpi (quelli dei lavoratori). In effetti si tratta di una vera e propria “privazione”, da intendersi come esproprio della propria dignità di esseri umani, prima, e di lavoratori poi.

Al contrario, questa crisi è strutturale, ovvero legata alle fondamenta stesse del processo di produzione capitalistico e del suo spazio di azione, che è il mercato. Infatti, ciò che ci troviamo davanti è un sistema iperproduttivo che non riesce a collocare nel mercato le proprie merci, e di pari passo immensi capitali non trovano remunerazione, e quindi profitti. Questo perché siamo entrati in una fase che si può definire di capitale “strangolato”, che per il troppo produrre si strozza. È un sistema che non riesce ad assorbire nuovi fattori di produzione, tra cui il lavoro, e quindi l’unica soluzione è quella di sottrargli capitale, affinché ricominci a prendere fiato. Ma questa soluzione è impraticabile, in quanto il processo capitalistico è irreversibile: INDIETRO NON SI TORNA!!

Un secondo motivo per il quale non si sa come affrontare la cinica realtà sta nel considerare l’economia politica alla stregua di una scienza come la fisica, che osserva il mondo sensibile e, dopo aver fatto le dovute ipotesi e tentativi, postula delle leggi certe (pensiamo solo alla legge di gravità e a come ne sia certa la sua applicazione). L’economia politica, al contrario, è una disciplina derivata dal comportamento sociale e, quindi, subisce i mutamenti sociali che si vengono a formare in determinate condizioni. L’economia politica, più precisamente l’economia politica di matrice liberista, ritiene di poterli governare i mutamenti sociali e, di conseguenza, quelli produttivi, in quanto espressione del comportamento naturale dell’essere umano.

È per questo, oltre agli interessi di bottega, che gli economisti ortodossi propongono ricette paradossali, come quella di aumentare la domanda interna, che innescherebbe una “scientifica” spinta inflazionistica, o quella ossimorica di aumentare gli anni lavorativi per combattere la disoccupazione e la precarietà (con tutta la fantasia non si riesce proprio a trovare un nesso causale tra i due aspetti).

Basta, dunque, ascoltare questi “intellettuali a pagamento” - poco intellettuali e molto a pagamento - che ci bombardano di idiozie, contravvenendo al pur minimo rispetto dell’intelligenza dell’essere umano. La verità, in questo caso, è una e una sola: il capitalismo occidentale è al collasso, per una serie di contraddizioni naturali proprie che oggi si stanno manifestando in tutta la loro drammaticità, con la conseguenza di un impoverimento generalizzato delle classi lavoratrici e non. L’unica soggettività in grado di sovvertire questo ordine ormai decaduto, ma non ancora caduto, è quella formata dai lavoratori, i quali devono riappropriarsi delle LORO unità produttive, delegittimando di fatto i PADRONI-LADRONI, prenditori delle ricchezze prodotte dai lavoratori.

SENZA IL LAVORO IL CAPITALE NON HA VALORE!

E quindi se ne vadano pure nei loro “paradisi dittatoriali” tutti questi faccendieri che promettono solo miseria e sfruttamento, ma gli impianti e le attrezzature rimangono nelle NOSTRE fabbriche. E gli amministratori locali devono uscire dal Limbo non più tollerabile, e prendere posizioni forti e decise a favore dei lavoratori, come ad esempio verso quelli della Best di Montefano-Osimo licenziati in tronco senza alcun preavviso, magari espropriando l’area dove sorgono i capannoni e impedendo ai padroni di entrare nei magazzini per portar via la merce in deposito.

A chi risponde che tutto questo è illegale, rispondiamo che la legge non è uguale per tutti!






Questo è un articolo pubblicato il 13-11-2011 alle 10:37 sul giornale del 14 novembre 2011 - 520 letture

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